Negli ultimi anni il numero di clinical trial e la sperimentazione clinica dei farmaci ha subito un notevole incremento a livello internazionale. La figura professionale del farmacista ha assunto negli anni un ruolo sempre più rilevante nell’ambito della sperimentazione clinica. Il disegno, il coordinamento e l’analisi di un clinical trial richiede, infatti, il coinvolgimento di un team multidisciplinare che vede la partecipazione di Principal Investigator, coordinatori della ricerca (CRC), farmacisti, clinical research associate (CRA) ed altri sperimentatori.1Nelle Good Clinical Practice (GCP) il farmacista è indicato come responsabile nei vari passaggi del processo di sperimentazione di un farmaco: gestione dei campioni sperimentali, attività di farmacovigilanza, monitoraggio degli studi, membro di Comitato Etico (CE) e talvolta referente della segreteria tecnico-scientifica. Il suo compito è quello di valutare in particolare il profilo rischio/beneficio dei farmaci proposti e individuare l’eventuale disponibilità di trattamenti alternativi approvati con efficacia simile o minori rischi/costi, nonché verificare, nel caso di protocollo di uso terapeutico/expanded access, la sussistenza dei requisiti autorizzativi necessari per l’approvazione. Sempre più spesso il farmacista viene coinvolto nelle fasi di stesura del protocollo, nonchè della verifica della fattibilità e dei costi da sostenere nello svolgimento dello studio stesso.
Il CRA è una figura che si colloca nella fase di sperimentazione dei farmaci. Ad essa l’azienda farmaceutica, definita spesso lo “sponsor”, affida lo svolgimento e il monitoraggio di uno studio clinico. Uno studio, cioè, riguardante l'utilizzo clinico delle proprie specialità farmaceutiche. Il CRA quindi segue la sperimentazione per conto dell’azienda, visitando i centri ospedalieri coinvolti nella sperimentazione e collaborando con i medici impegnati nello studio.Un CRA deve garantire che lo studio sia effettuato in base al protocollo clinico, controllare le attività cliniche del sito della ditta, fare visite on-site, rivedere i CRF (Case Report Form) e interfacciarsi con gli investigator (i medici).Visto lo spostamento verso la “clinica” che le aziende farmaceutiche hanno effettuato negli ultimi anni, il ruolo dei CRA assume un'importanza anche numerica notevole all’interno delle aziende farmaceutiche, in Italia come negli altri paesi. Questi professionisti della ricerca clinica, infatti, sono "garanti" della validità dei dati ottenuti attraverso gli studi clinici.
Il CRA, o Clinical Monitor, è un laureato in
discipline scientifiche (farmacia, biologia, biotecnologie, medicina e
affini), conosce i protocolli di studio dei farmaci dei quali segue i
trials, le procedure di GCP (Good Clinical Practice) e il quadro normativo nel
quale si inserisce la sperimentazione clinica in Italia. La professione
del Clinical Monitor è dinamica, richiede frequenti viaggi per seguire gli
studi clinici, una continua interazione con i medici coinvolti nello studio, un
costante aggiornamento sulle nuove frontiere della ricerca farmaceutica.
E’ necessaria inoltre una buona conoscenza della
lingua inglese e dei sistemi informatici.
Al CRA sono richieste capacità e conoscenze
molto diverse tra loro, che difficilmente è possibile apprendere nel consueto
iter universitario. Come per molte altre attività lavorative, la laurea è solo
un punto di partenza per costruire una professionalità completa.
Per questo è consigliabile un master specifico dedicato
alla sperimentazione clinica.
I requisiti per l’accesso alla professione di CRA sono stabiliti dal
Decreto del Ministero della Salute del 15 novembre 2011 che, sostituendo la precedente disciplina contenuta nel Decreto del 31 marzo 2008, ha previsto una nuova “Definizione dei requisiti minimi per le organizzazioni di ricerca a contratto (CRO) nell’ambito delle sperimentazione cliniche di medicinali”.In particolare, l’Art. 4 del Decreto, che riportiamo qui sotto per intero, definisce i requisiti minimi per il personale di cui le CRO devono dotarsi nel caso svolgano attività di monitoraggio: Art. 4 Decreto del 15 novembre 2011 - Requisiti per l’attività di monitoraggio
1. Qualora la CRO svolga attività di monitoraggio, si dovrà dotare del relativo personale in possesso almeno dei seguenti requisiti:
a) possesso del diploma di laurea in discipline sanitarie/scientifiche attinenti alle tematiche da svolgere;
b) almeno 40 ore di formazione teorica effettuata nell’arco dei 12 mesi che precedono l’inizio delle attività di monitoraggio in relazione ai seguenti argomenti: 1) metodologia e normativa della sperimentazione clinica;2) GCP;3) norme di Buona Pratica di Fabbricazione (GMP) con specifico riferimento al farmaco in sperimentazione;4) farmacovigilanza;5) sistemi di qualità e assicurazione di qualità;6) compiti del monitor di cui al paragrafo 5.18 dell’allegato 1 al decreto ministeriale 15 luglio 1997;
c) almeno 20 giorni di attività di monitoraggio in affiancamento a monitor esperti effettuati nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’attività autonoma di monitoraggio. Tale affiancamento dovrà essere svolto almeno per il 50% durante le visite presso i centri sperimentali prima dell’avvio, durante l’esecuzione e dopo la conclusione di una sperimentazione; per il personale con documentata esperienza di coordinamento delle attività dei monitor, tramite specifica attività in sede svolta per almeno 6 mesi nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’attività autonoma di monitoraggio, il minimo dei giorni di attività di monitoraggio in affiancamento richiesto è di 5 giorni, di cui almeno 3 durante le visite presso i centri sperimentali;
d) almeno 4 mesi di attività nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’attività autonoma di monitor, nei settori del controllo e/o della vigilanza sui medicinali e/o della sperimentazione clinica; in alternativa, ulteriori 40 giorni di attività di cui alla lettera c) effettuati nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’attività autonoma di monitoraggio; in alternativa conseguimento di master universitario post laurea o scuola di perfezionamento o equivalente corso post laurea universitario in sperimentazioni cliniche o in scienze regolatorie o in discipline equivalenti, nei 36 mesi precedenti l’inizio dell’attività autonoma di monitoraggio;
e) formazione specifica sulla sperimentazione oggetto di monitoraggio.
2. Chiunque, alla data di entrata in vigore del presente decreto, abbia svolto le funzioni di monitor delle sperimentazioni di cui al paragrafo 5.18 dell’allegato 1 al decreto ministeriale 15 luglio 1997, ed è in grado di documentare tale attività, è esentato dal possesso dei requisiti di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d) e può continuare a svolgere le proprie funzioni.
3. La CRO deve avvalersi di Monitor che, oltre ai requisiti di cui ai commi 1 e 2, seguano specifici aggiornamenti annuali di durata non inferiore a 30 ore su uno o più dei seguenti argomenti: a) metodologia e normativa sulla sperimentazione clinica; b) GCP; c) GMP con specifico riferimento al farmaco in sperimentazione; d) sistemi di qualità; e) farmacovigilanza; f) argomenti clinico-scientifici attinenti alle sperimentazioni cliniche; g) altri argomenti connessi con i compiti da espletare.
4. Per il monitoraggio di sperimentazioni o centri che utilizzano sistemi tecnologici avanzati, quali ad esempio schede di raccolta dati elettroniche (e-CRF) è necessario dimostrare di aver compiuto idonea formazione ed aggiornamento nello specifico settore.
5. Il Monitor esperto, come definito all’art. 2, lettera l), del presente decreto, è colui in grado di svolgere attività autonoma di monitoraggio e che annualmente esegue almeno 15 giorni in visite di monitoraggio.
6. Per il monitor e il monitor esperto, l’interruzione giustificata dell’attività non è di ostacolo alla ripresa della stessa e non comporta la perdita della qualifica. Tuttavia, per il solo monitor, nei casi di interruzione giustificata superiori a dodici mesi, prima della ripresa dell’attività autonoma di monitoraggio è necessario eseguire almeno 2 visite di monitoraggio in affiancamento a personale con la stessa qualifica e per le stesse attività.Link al Decreto del 15/11/2011 sul sito dell’Aifa: http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/2011_11_15_dm_cro.pdf
Svolge attività di supporto, facilitazione e coordinamento delle
attività relative al protocollo di studio, una posizione spesso considerata
di entry level, per cui chi vuole accedere al mondo della ricerca clinica
spesso inizia svolgendo proprio questo ruolo. Il CRC può essere chiamato anche
Study Coordinator o, in maniera meno appropriata, Data Manager.
Pincipali mansioni
Gestisce l’inserimento
dati in CRF, compila i source document,
lavora ai documenti regolatori,risponde alle queries; partecipa alla preparazione, gestione e invio dei campioni
biologici (in collaborazione con l' in
fermiere di ricerca
per le aree di competenza), collabora nella gestione del farmaco
(rifornimento, contabilità, conservazione, assegnazione, restituzione,
smaltimento), si occupa della conservazione della documentazione e della
gestione del Trial Master File, coordina lo staff del centro di sperimentazione
per l’organizzazione delle visite previste dal protocollo, mantiene i contatti
con i soggetti arruolati nello studio, si occupa delle comunicazioni con il
comitato etico in collaborazione con lo sponsor e lo sperimentatore
principale.
Si occupano quindi di quasi tutto ciò che riguarda uno
studio clinico, sebbene non ne siano i diretti responsabili. Infatti il
responsabile dello studio presso il Centro Sperimentale rimane sempre il Principal
Investigator, il quale spesso delega parte dei suoi compiti al CRC.
IIl CTA è la persona che ha il compito di supportare il CRA e il Project Manager nel gestire lo studio clinico per gli aspetti più burocratici in accordo con le GCP, le SOP e le normative vigenti.Il CTA è anche chiamato: Clinical Trial Administrator, Segreteria Clinica, Clinical Project Associate, Clinical Trial Associate, Clinical Project Coordinator.Il CTA generalmente lavora office-based, e può avere un contratto full-time o part-time presso le CRO o le aziende farmaceutiche
Il Clinical Trial Assistant svolge diverse mansioni, esso interviene “al bisogno”, a seconda delle necessità del trial:
Gestisce e mantiene aggiornato il Trial Master File, ovvero il faldone contenente tutti i documenti dello studio;
Invia l’Investigator Site File (ISF) presso il centro sperimentale, ovvero il faldone dei documenti che il CRA trova nel centro sperimentale;
Revisiona gli Essential Document e il materiale necessario allo svolgimento del trial;
Coordina/supporta le sottomissioni etiche e regolatorie;
Organizza e partecipa ai team meeting e scrive le minute;
Si occupa del Data Management (tracking e risoluzione delle query);
Interviene nella gestione delle risorse e del budget;
Gestisce gli aspetti economici del trial (incluso il tracking e il processamento dei pagamento dei centri sperimentali).
Uno dei profili professionali che negli ultimi anni si sta affermando è quello del CRA, ovvero del Clinical Research Associate. Potrebbe sembrare che il motivo principale di questo successo sia cercare nella scarsità di prospettive che offre la ricerca di base, ma in realtà non è così.
Poco conosciuto fino a pochi anni fa, il mondo della ricerca clinica offre invece tante opportunità, la possibilità di costruire una carriera brillante e di svolgere un lavoro dinamico e altamente qualificato. A svelarci i segreti del perfetto clinical monitor oggi è Lorena Serpilli, Clinical Research associate presso Innovus Italy Srl - OptumInsight.
Dottoressa Serpilli, un’esperienza che parte dalla ricerca di base per approdare alla ricerca clinica, può raccontarci il suo percorso?
Mi sono laureata in scienze biologiche all’università di Roma Tre, e poco prima della tesi di laurea ho partecipato al progetto Leonardo da Vinci UniRoma-Pharma-Training (poi diventato Unipharma-Graduates). La mia esperienza nel mondo del lavoro è quindi iniziata con questo stage di ricerca offerto tramite il Programma Leonardo da Vinci, svolto presso la Eli Lilly, nel suo Centro di Ricerca del Surrey, in Inghilterra. Un’esperienza molto importante, che mi ha permesso di confrontarmi con la realtà aziendale europea e di comprendere cosa significasse fare ricerca di base. Al mio ritorno ho lavorato per un breve periodo presso la Fondazione Santa Lucia, sempre nel settore delle neuroscienze, ed ho iniziato a valutare la possibilità di effettuare un dottorato di ricerca.
Possibilità che però ha scartato…
In realtà non l’ho scartata subito, ma trovare i fondi per un dottorato nel mio settore e nel laboratorio presso il quale già lavoravo non era semplice in quel momento, quindi ho deciso di lasciare la ricerca di base ed affrontare un nuovo percorso lavorativo che non fosse, però, troppo distante dalle mie passioni.
E così ha scelto la ricerca clinica.
Si, mi è sembrata la decisione più naturale, la professione che potesse farmi sfruttare le conoscenze acquisite nel corso di studi e potesse piacermi come la ricerca di base.
Ha iniziato con un Master?
Ho superato le selezioni per il Master in Ricerca clinica organizzato annualmente dall’Università di Firenze. Un master che consiglio a chiunque volesse fare ricerca clinica. Perché la formazione ricevuta mi ha realmente preparata alla professione e mi ha messa in contatto, tramite lo stage, con le aziende farmaceutiche che fanno ricerca clinica nel nostro paese.
Il nuovo percorso lavorativo si è rivelato all’altezza delle sue aspettative? Era in linea con le sue conoscenze?
Si, perché per svolgere l’attività di monitoraggio clinico è necessario conoscere perfettamente i protocolli, quindi la base scientifica, una buona conoscenza della farmacologia, e la precisione acquisita in laboratorio sono essenziali per potere lavorare bene.
Arriviamo alla sua esperienza nella ricerca clinica, quando ha iniziato?
Subito dopo il master ho ricevuto un’offerta dalla Servier, dove ho lavorato come clinical monitor per due anni. In seguito sono passata ad una CRO, per cui lavoro da tre anni.
In che cosa consiste il lavoro del CRA?
Seguo studi clinici nelle fasi II, III e IV e studi osservazionali. Il ruolo del CRA è quello di monitorare lo studio, dal reclutamento dei medici fino alla conclusione ed ai risultati dello studio stesso. I primi momenti del lavoro consistono nello studio del protocollo e nella raccolta dei cv dei medici aderenti allo studio stesso. In seguito si va presso i singoli centri ospedalieri nei quali si svolgerà lo studio, si effettua la formazione del personale medico e paramedico sul protocollo, le registrazioni dei pazienti aderenti allo studio, con i relativi consensi informati.
Dopo la partenza dello studio, periodicamente si effettuano delle visite durante le quali si registrano i dati e si fa vera e propria attività di monitoraggio sulla progressione dello studio stesso. Alla conclusione, si raccolgono tutti i dati ottenuti, che serviranno in seguito alla valutazione dell’efficacia e del profilo di sicurezza del farmaco in esame.
Lei ha lavorato per una azienda multinazionale, adesso lavora per una CRO. Quali sono le differenze fondamentali fra questi due ambienti lavorativi?
In azienda sicuramente esistono dei ruoli più definiti, si è più settoriali perché l’organigramma stesso dell’azienda lo prevede. Nella CRO per cui lavoro c’è una mobilità diversa, il CRA può seguire in parte anche alcune fasi del regolatorio. Altro aspetto fondamentale è l’uso della lingua inglese. In azienda a volte si può adoperare l’italiano, perché lo studio è seguito quasi interamente da un team. Nella CRO capita molto spesso di avere dei contatti all’estero con cui doversi interfacciare quotidianamente, perché ad esempio sono impegnati nello stesso studio. Quindi mi trovo ad usare l’inglese molto più adesso rispetto alla mia precedente posizione.
Parliamo di viaggi…
Una componente essenziale del mio lavoro. Soprattutto all’inizio, bisogna essere pronti a viaggiare molto spesso. Seguire lo studio vuol dire andare nei centri aderenti, che sono in luoghi a volte molto distanti da quello di residenza. Le cose cambiano con l’esperienza, quando si diventa “lead” può capitare di viaggiare un po’ meno. Anche quando si seguono studi osservazionali la percentuale di viaggi si riduce sensibilmente. E’ uno degli aspetti più affascinanti, ma se non si ama essere sempre in movimento questo tipo di lavoro può risultare molto difficile da fare.
Un altro aspetto che le piace particolarmente?
Il contatto con il personale coinvolto nello studio, si incontrano tante persone differenti e si conoscono realtà sempre nuove. E’ un lavoro dinamico, a volte imprevedibile, ma regala molte soddisfazioni professionali.
Quindi lo consiglierebbe ai giovani?
Si, se sono delle persone attive e flessibili. Consiglio ovviamente di fare un master, che preveda un periodo di stage, in modo da avere tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente in materia di certificazione della professione.
La ricerca è un campo tanto affascinante quanto vasto, in grado di soddisfare esigenze ed aspettative di persone dai desideri più diversi. E’ però necessario andare oltre quello che il termine ricerca rappresenta nell’immaginario comune, abbandonando per un momento la visione dello scienziato in laboratorio.
Quando ci si occupa di ricerca clinica, infatti, la maggior parte del lavoro viene svolto sul campo, in stretto contatto con medici e pazienti. Un lavoro dinamico in cui è difficile annoiarsi, quello che ci racconta la dottoressa Barbara Saiani, Clinical Researcher presso l’Hospital Clinico di Barcellona. Due master ed un lavoro in Spagna, ma non è tutto… E’ vero, mi sono laureata a Ferrara nel 2007, in Biologia Molecolare, ma il progetto di tesi era già spagnolo. Ho scelto di svolgere gran parte del lavoro riguardante la tesi specialistica presso il laboratorio di genetica molecolare dell’Università di Valencia, e questo mi ha dato l’opportunità di conoscere ed apprezzare la Spagna senza dubbio, ma soprattutto l’organizzazione e le infrastrutture dedicate alla ricerca in questo paese.Una prima esperienza positiva che ha avuto come seguito l’inizio di una brillante carriera.
Desideravo tornare in Spagna e data la scarsa proposta di dottorati e master in Italia, ho colto l’opportunità del progetto Leonardo Unipharma-Graduates per realizzare subito il mio proposito. Una volta superate le selezioni ho scelto come sede Barcellona, città che conoscevo già perché vi avevo trascorso il periodo di studio del progetto Erasmus.L’impatto con la città è stato quindi molto più sereno immagino.
Avevo delle conoscenze, di conseguenza non ho avuto problemi né con l’alloggio né con la lingua, dal momento che si trattava della mia terza esperienza in Spagna. Anzi, mi sono trovata ad aiutare colleghi che erano nella stessa edizione del progetto a trovare soluzioni a problemi che avevo affrontato in passato. Ero un po’ l’anfitrione del gruppo, perché frequentavo la città da tempo, sia per quanto riguarda l’aspetto scientifico, sia per quello che concerne l’aspetto più culturale-turistico.Parliamo dell’aspetto scientifico, ha trovato difficoltà o discrepanze fra il suo corso di studi e il lavoro svolto durante lo stage?
Mi occupavo di microbiologia, un campo decisamente nuovo per me, ma grazie all’aiuto di tutor e colleghi anche la vita di laboratorio e lo svolgimento del progetto si sono rivelati entusiasmanti. Alla fine dello stage mi è stato proposto un dottorato, ma ho rifiutato, pur essendo ancora in contatto con il team del laboratorio, perché volevo fare esperienza in un settore diverso.Esperienza che si è tradotta in una formazione altamente specializzata.
Ho frequentato un master in biomedicina presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona UPF nel 2008, e successivamente uno in Clinical Trial all’Università IUSC, sempre a Barcellona. Attualmente lavoro presso l’Hospital clinico come Clinical Researcher di Farmacologia, un lavoro che mi piace molto e mi permette di sfruttare le conoscenze acquisite fino ad ora, sia durante il corso di laurea che nei master.Mi occupo principalmente di pazienti schizofrenici e polimorfismi genetici, quindi non sono totalmente fuori dai laboratori, dal momento che il progetto ha anche una parte di ricerca pre-clinica. A differenza del master, durante il quale mi sono occupata di revisione e monitoraggio di studi clinici.Una professione che abbraccia diversi campi, quale aspetto la affascina maggiormente?
Ad essere sincera più di uno. Mi piace viaggiare, adoro il contatto con le persone, e soprattutto noto come sia diverso dall’ambiente lavorativo italiano.In che senso?
Principalmente nella gerarchia sul lavoro; qui il capo si pone al tuo stesso livello, esiste una maggiore interazione che rende più semplice e produttivo il lavoro.La ricerca clinica le sembra un lavoro adatto alle nuove generazioni?
Senza dubbio, è un lavoro dinamico che permette di incontrare situazioni e persone nuove, le prospettive di crescita sono ottime. Ovviamente l’ambiente è molto diverso da quello universitario, si parla per lo più di aziende multinazionali, con la serie di personal skills che questo comporta.Quali sono attualmente le sue prospettive?
Intanto sto ultimando il secondo master, e credo che rimarrò in Spagna o comunque all’estero almeno per un altro paio di anni. Poi non mi dispiacerebbe tornare in Italia, se si realizzano le condizioni per farlo. Mi piacerebbe diventare una CRA per una azienda, staremo a vedere.Quale consiglio vuole dare ai giovani aspiranti ricercatori clinici?
Di avere le idee chiare e di fare, ad esempio, il dottorato solo se si vuole fare ricerca di base. Altrimenti è meglio cercare un ottimo master, preferibilmente all’estero, e rimanerci almeno per il tempo necessario a comprendere la realtà aziendale europea. E poi di essere dinamici, adattabili e predisposti al contatto.
Con questa intervista guarderemo le industrie farmaceutiche dall'esterno, attraverso il ruolo del Clinical Research Associate (CRA), grazie all'aiuto della dottoressa Francesca del Piano, CRA per la Icon Clinical research.
Il CRA è una figura che si colloca nella fase di sperimentazione dei farmaci, alla quale lo “sponsor”, ovvero l'azienda farmaceutica, affida lo svolgimento e il monitoraggio di uno studio riguardante l'utilizzo clinico delle proprie specialità farmaceutiche. Il CRA quindi segue la sperimentazione collaborando con i medici impegnati nello studio e riferendone l'andamento all'azienda.
Dottoressa Del Piano, quando ha iniziato a svolgere la professione di CRA? Lavoro per Icon Clinical research che è una società di sperimentazione clinica che gestisce le sperimentazioni per conto di sponsor farmaceutici, con sede centrale a Dublino e diverse filiali in quasi tutto il mondo. Ho iniziato a lavorare per questa società nel maggio del 2006 come clinical research associate (CRA). Prima ho lavorato per qualche mese per un'altra azienda in qualità di CTA, cioè come clinical trial administrator, proprio perchè non avevo alcuna esperienza nel campo della sperimentazione clinica e quindi ho lavorato in affiancamento ad un CRA con più esperienza, in modo da comprendere meglio la dinamica del lavoro. Dopo questo breve periodo si è aperta una posizione in Icon, che in quel momento stava aprendo la sua sede italiana a Milano. Sono stata contattata per fare un colloquio e sono diventata il “numero 8” della società, eravamo veramente in pochi! Adesso siamo più di 160, una grande crescita, dovuta in parte all'aumento dei controlli da parte del Ministero della Salute sulle sperimentazioni cliniche.
Come è arrivata alla decisione di svolgere questo lavoro?
E' stata una scelta casuale, perchè ero appena laureata ed in cerca di un lavoro, con le idee poco chiare come quasi tutti, credo. Ho inviato un po' di curriculum ad aziende e siti appositamente realizzati e specializzati nel settore farmaceutico e dopo poco tempo è arrivata la chiamata per il primo impiego. Poi una volta entrata nei meccanismi di questo tipo di lavoro sono stata conquistata dalla sperimentazione clinica. Il primo periodo in Icon è stato molto particolare, perchè ho trascorso un mese in Germania, per seguire uno studio che aveva il management in quel paese. Lì ho fatto i primi training e sono stata messa al corrente dei dettagli del lavoro che in seguito avrei svolto per l'azienda. Una volta tornata in Italia ho iniziato a seguire diversi studi, in questi anni di lavoro ho portato a termine circa nove studi e attualmente sto seguendo un progetto molto importante nel settore cardiovascolare, che coinvolge 12500 pazienti in tutto il mondo.
Ha incontrato degli ostacoli all'inizio della sua carriera?
L'ostacolo principale, soprattutto all'inizio, riguarda l'abitudine al tipo stesso di lavoro, per cui è necessaria una grande flessibilità che spesso va a tuo discapito in termini di ore di lavoro. Non abbiamo il cartellino da timbrare proprio perchè a volte è necessario trattenersi nei centri in cui viene condotta la sperimentazione ed essere reperibili e disponibli per qualsiasi emergenza del centro stesso. La difficoltà maggiore, soprattutto all'inizio, sta quindi nell'organizzazione e nel time management. Le scadenze sono il primo obiettivo del CRA, e di conseguenza è necessario pianificare tutte le attività lavorative in modo tale da riuscire a rispettarle.
Non sempre poi i rapporti con i centri sono facili, anzi non è inusuale che si creino delle tensioni con i medici, quindi servono calma e diplomazia per superare l'ostacolo e permettere lo svolgimento dello studio nella massima serenità. Bisogna sapere essere tranquilli e professionali quando si affrontano situazioni problematiche.
Esistono dei requisiti fondamentali che bisogna possedere per essere un buon CRA?
Quello del CRA è un lavoro che ti porta spesso in viaggio, tutto dipende dal luogo dello studio e dalla frequenza dei monitoraggi, che generalmente sono circa sei o sette al mese. Quindi si viaggia per circa il 60 – 70 % del tempo. Dal momento che si gestiscono studi internazionali, bisogna avere una ottima conoscenza dell'inglese sia scritto che parlato, per seguire al meglio le comunicazioni interne allo studio (e-mail, videoconferenze, seminari) e per gestire i rapporti con i project manager, spesso stranieri. Quindi flessibilità, voglia di viaggiare e conoscenza dell'inglese sono requisiti fondamentali per iniziare bene, poi conoscendo meglio la professione si scoprono diversi aspetti che si “assimilano” in maniera naturale con l'esperienza.
Quale aspetto della sua professione la affascina maggiormente?
I monitoraggi senza dubbio, perchè mi piace molto il rapporto che si crea con i medici coinvolti nello studio. Il raggiungimento di un clima di collaborazione e sostegno reciproco è segno che lo studio sta avanzando bene e che stai facendo un buon lavoro. L'attività del monitor a volte viene infatti confusa con quella di un controllore pronto a segnalare solo gli errori. Il CRA invece deve essere piuttosto percepito come un punto di riferimento interno allo studio, che da un lato fornisce le regole, ma anche il supporto giusto perchè le procedure vengano seguite al meglio.
Dopo quattro anni di lavoro le sue aspettative si sono realizzate?
Direi di sì, adesso sono “senior”, quindi potrei anche aspirare a diventare project leader a breve. E' un ruolo difficile da raggiungere e svolgere, perchè richiede un contatto diretto con lo sponsor farmaceutico e fa sì che tu stesso diventi un punto di riferimento per i CRA più giovani, bello ma impegnativo. Adesso Icon, che è sempre attenta allo sviluppo e alla crescita professionale dei suoi dipendenti, ha creato un dipartimento che si occupa proprio del personale più giovane. A cadenza mensile organizziamo degli incontri one-to-one in cui si discutono le difficoltà che i monitor possono incontrare nello svolgimento dei loro primi studi, in base ai quali si prova a migliorare le loro condizioni lavorative e si fornisce il giusto supporto.
Mi sembra di capire quindi che sia una professione molto adatta ai giovani...
Sì, è un lavoro che consiglio a tutte le persone che hanno i requisiti di cui parlavamo prima. Anche se non dovesse poi trasformarsi nella professione definitiva, è comunque un'esperienza molto formativa, utile a crescere in ambito lavorativo ma anche nella quotidianità, perchè fornisce strumenti utili e spendibili anche in altre situazioni.
Quale consiglio darebbe ai giovani laureati che vogliono intraprendere la sua professione?
La prima sensazione che questo lavoro dà è quella che sia impossibile da portare avanti. Quindi un consiglio è quello di non darsi per vinti, mantenere la calma e organizzare il lavoro utilizzando diversi metodi, assegnando ad ogni attività il giusto tempo. A quel punto si può iniziare a respirare e a godersi un lavoro molto bello e pieno di gratificazioni.